I rapporti dell’Italia con il governo degli Stati Uniti sono sempre stati buoni. Perfino durante il Ventennio i due paesi erano soliti prodigarsi in reciproche parole di elogio, Italo Balbo detto il Trasvolatore si vantava spesso delle sue amicizie oltre oceano e il governo americano nutriva un’ammirazione malcelata per Mussolini.
Gli equilibri sono poi decisamente cambiati quando l’Italia ha perso la guerra ed è stata liberata dagli americani. Da quel momento in poi più che altro siamo diventati un feudo dell’impero americano, occupatissimo a contrastare l’ascesa dei governi comunisti nell’Occidente in via di sviluppo. Le ingerenze nello sviluppo della politica interna del nostro paese sono state tanto gravi quanto ben documentate, ma l’evidenza nulla ha potuto contro l’ormai granitica sudditanza psicologica che ci dominava.
Al giorno d’oggi, quando ormai la cultura americana che abbiamo assimilato è sufficiente da sola a mantenerci fedeli alla linea, e lo spettro della controcultura, anti capitalistica e consumistica, è stato ormai scacciato, si potrebbe pensare a un raffreddamento dei rapporti. E invece il colpo di scena: Italia e USA si ritrovano nuovamente a congratularsi l’un l’altra grazie alla vittoria dei populismi.
Quando Trump venne eletto contro tutti i pronostici e con grande indignazione da parte dei partiti della sinistra liberale di tutto il mondo, c’era qualcuno che nel Bel Paese esultava e qualcun altro che ghignando diceva: “Ve l’avevo detto”. Salvini, all’epoca all’opposizione come capo della Lega, si congratulava per la vittoria di un “patriota anti-establishment” che avrebbe, a suo dire, alzato un bel muro lungo il confine meridionale, come si faceva ai bei vecchi tempi, per sconfiggere la piaga dell’immigrazione. Grillo, a dir la verità con un fare un po’ più contenuto, guardava compiaciuto banchieri e massoni tremare per l’ascesa al potere di un signore inviso, secondo lui, ai poteri forti.
Ora che anche in Italia le ultime elezioni di marzo hanno portato alla formazione di un governo populista, Trump si congratula e i rapporti tra i due paesi si rinsaldano sulla base di certi slogan retrogradi tipo “prima gli italiani”. I governi sentono di condividere un passato in cui nessuno li prendeva sul serio, nessuno li riteneva in grado di vincere le elezioni, tutta la sinistra benpensante troppo occupata a prenderli in giro per preoccuparsi di organizzare una benché minima linea politica; per poi, dopo averli visti vincere, scoppiare in un’isteria da finis mundi.
Così eccoci qui, con il Regno Unito che vota per uscire dall’Europa, Trump che diventa presidente degli Stati Uniti, la Catalogna che chiede l’indipendenza a gran voce e l’Italia che è governata da un’intesa Lega-Cinque Stelle. Gli USA vogliono innalzare muri, noi in risposta chiudiamo i porti. Sembra proprio la nascita di un periodo di intesa in cui l’Italia sarà per gli americani un interlocutore più adatto dell’Europa. Ma se la politica interna sembra condivisa, la cosa non è altrettanto certa in politica estera. E su questo punto potrebbero nascere delle divergenze, perché i bombardamenti americani in Medio Oriente non sono visti di buon occhio da un governo che ha fatto della lotta all’immigrazione la sua crociata più importante.